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Francesco Codello, Tomás Ibáñez, Salvo Vaccaro - @ Italia, Emilia-Romagna, Bologna, Fondo Comini - ⌚ 2025-09-06 - 📁 2025
[486.8 MB | 1 h, 23 mins, 42 secs | kbps] - audio [opus | 2ch | 48000kHz] - video [av1 | 720 x 404 | 25 fps]
A cavallo fra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila l’influenza del pensiero e della prassi anarchica e libertaria sull’immaginario collettivo, radicale e non, è diventato sempre più significativa. In particolare, guardando ai movimenti sociali, il crollo del blocco sovietico, l’emergere dello zapatismo e lo scoppio delle lotte antiglobalizzazione inaugurate nel 1999 dalle proteste contro il WTO a Seattle, hanno reso evidente a tutti il cambio di paradigma e di parole d’ordine. E sul fronte dell’elaborazione teorica e politica, già a partire dagli anni Settanta alcuni pensatori e pensatrici radicali avevano colto la fecondità dell’approccio anarchico. Insomma, alle porte del nuovo millennio il marxismo appare screditato, l’anarchismo è l’unico giocatore rimasto e non sorprendentemente qualcuno annuncia l’inizio di un «secolo anarchico» (Grubacic, Graeber, Anarchism, Or The Revolutionary Movement Of The Twenty-first Century). Venticinque anni dopo, se ci guardiamo attorno la sensazione è però piuttosto sconfortante, non pare certo che l’anarchia abbia preso il sopravvento: gli ecosistemi stanno collassando, il capitalismo globalizzato sembra inattaccabile e alcuni dei movimenti di critica al sistema di maggior successo sono fascisti e fondamentalisti. E tuttavia persiste la sensazione che l’approccio anarchico sia non solo ancora valido ma forse il più efficace, addirittura per alcuni l’unica scelta sensata in questo momento storico (vd ad es. Crimethinc., Become an Anarchist or Forever Hold Your Peace). Date queste premesse, ci sembra importante riflettere su alcuni interrogativi: se l’influenza del pensiero e della prassi anarchica sull’analisi politica, sui movimenti sociali e su settori importanti della società civile è ormai un dato di fatto, tanto da essere un punto di partenza imprescindibile della critica dell’esistente, perché allora il movimento anarchico in sé e per sé appare ancora incapace elaborare un’alternativa concreta comprensibile ai più? Guardando a questo primo quarto di secolo, quale possono essere le considerazioni da cui partire per un’autocritica dell’anarchismo? Quali sono le sfide che abbiamo di fronte e i possibili modi per affrontarle?